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al testo di Ivan Pozzoni
Claudio Damiani - Patroclo non deve morire (2013)
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«Ho letto il tuo libro. Anzitutto mi piace l’osservazione che hai, che è quasi da narratore (che io ho sempre invidiato, per come questa osservazione abbia la capacità di distrarci, occuparci) e come questa osservazione frequenti i luoghi comuni, e li cerchi e collezioni anche, con pazienza di antropologo, o sociologo, ma al tempo stesso osservi con naturalezza, con verità. E dice ciò che osserva. Più che a Cecco, ho pensato a qualcosa di molto milanese e ottocentesco: la scapigliatura. A volte sei un po’ naif, ma è anche, a volte, per questo tuo amore dell’800, o antinovecentismo innato, forse. Ci sono testi però per niente semplici, come Non mi ci trovo, L’impiccato, La solitudine del giocatore di videopoker, testi ben costruiti e solidi. C’è vitalità e libertà, desiderio di comunicare, e ritrovare un lettore, rischiando di essere semplice, e facendo bene a rischiare. Ho pensato a Esenino [Sergej Aleksandrovič Esenin], anche» [commento di Claudio Damiani a Patroclo non deve morire, email 16/06/2014].
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